Stop Loss e Take Profit: Cosa Sono e Come si Usano per Investire i Tuoi Soldi in Modo Sicuro e Redditizio
Lo stop loss ed il take profit sono due strumenti molto conosciuti nel mondo del trading volti ad ottimizzare il rapporto rendimento/rischio di un portafoglio finanziario riducendone la volatilità nei momenti sfavorevoli di mercato.
Facili da capire e semplici da applicare essi presentano non pochi problemi per gli investitori, che credono di aver trovato il sistema per far fruttare senza rischi il proprio denaro.
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Il Take Profit
Il take profit corrisponde al livello di quotazione raggiunto da uno strumento finanziario in corrispondenza del quale l’investitore lo liquiderà, consolidando in questo modo il guadagno raggiunto. Esso corrisponde, di solito, ad un guadagno soddisfacente per l’investitore che, una volta raggiuntolo, preferisce uscire dal mercato consolidando l’utile.
Punti deboli del take profit
Facile da capire e semplice da usare, il take profit (TP)) presenta alcune criticità:
- se fissato troppo “vicino” al valore di carico del titolo scatterà troppo presto, inducendo l’investitore a liquidare una posizione in leggero guadagno. Se fissato in modo troppo ampio esso non scatterà mai diventando di fatto inutile
- poiché i mercati azionari si muovono in trend fino a che la tendenza sottostante non è cambiata non è mai ottimale vendere un titolo solo perché sta salendo. Ci mangeremmo le mani subito dopo vedendolo raggiungere nuovi traguardi a noi preclusi a causa della fretta
- fissare dei TP implica l’aumento esponenziale delle operazioni di acquisto/vendita fatte con la generazione di plusvalenze tassabili e il moltiplicarsi dei costi bancari di transazione
E’ indispensabile applicare sempre un take profit? No. La mia ventennale esperienza di investitore mi ha fatto toccare con mano che una strategia valida per investire nel tempo genera un valore del patrimonio investito sempre crescente (a meno di ribassi temporanei, beninteso). Fissare dei take profit finisce con il tarpare le ali agli investimenti vincenti che stanno salendo ed hanno ottime probabilità di continuare a farlo.
L’uso del TP risponde alla paura dell’investitore di perdere ciò che ha ottenuto. Se nel corso della sua vita un investimento è andato temporaneamente in perdita probabilmente saremo tentati di rivenderlo non appena torna alla parità o la supera di poco. Questo modo di fare, tuttavia, ci impedirà di partecipare ai rialzi successivi che probabilmente sarebbero arrivati se avessimo tenuto il titolo.
Capitò anche a me nel 1998 quando liquidai le azioni della Banca Commerciale Italiana comprate quattro anni prima con un guadagno del 30%. Se avessi tenuto quelle stesse azioni gli utili sarebbero stati molto più consistenti negli anni successivi.
Lo Stop Loss
Lo stop loss è l’opposto del take profit e consiste nella definizione di un livello minimo di prezzo raggiunto il quale si esce dal mercato, consolidando una piccola perdita ma evitando l’insorgere di danni maggiori. Esso è psicologicamente difficile da accettare e da mettere in pratica, poiché l’investitore è tentato a mantenere i titoli in perdita nella speranza di un loro recupero.
Sebbene sia più efficace del take profit in virtù del motto “taglia le perdite e lascia correre i profitti” anche questo strumento presenta dei punti critici.
Punti deboli dello stop loss
Se posizionato troppo vicino al costo di carico del titolo lo stop loss scatterà in occasione del primo storno momentaneo, facendoci uscire troppo presto dal mercato e ponendoci il problema del “quando rientrare”. Spesso accade che un investitore che ha venduto un titolo in leggera perdita sia stato costretto a ricomprarlo successivamente pagando un prezzo più alto.
Al contrario, uno stop loss troppo “lontano” dal prezzo di carico è inutile per due ragioni:
- è psicologicamente inaccettabile. Vendere un titolo che ha perso il 30% o più del proprio valore non è un’operazione semplice da fare e probabilmente non verrà fatta. A causa del dolore finanziario associato ad una perdita, l’investitore tenderà a mantenere il titolo perdendo la disciplina che si era imposto al momento dell’acquisto
- è economicamente inutile, poiché per recuperare un ribasso del 50%, ad esempio, il titolo dovrà raddoppiare di valore. Visto che il danno è fatto tanto vale a questo punto tenerlo mettendoci una pietra sopra, piuttosto che liquidarlo cercando un sostituto che abbia buone probabilità di rendere così tanto da trasformare una posizione disastrosa in un investimento in guadagno.
Se ad essere comprati o venduti sono fondi di investimento o ETF lo stop loss crea il problema della non ricuperabilità fiscale delle minusvalenze.
Lo stop loss è difficile da accettare e da applicare e quasi mai è definito al momento dell’investimento. Muovendosi senza una strategia efficace per investire il risparmiatore tende ad agire secondo una logica di breve termine (seguo il titolo per rivenderlo appena sale), per poi restare bloccato per anni in una posizione in perdita (tanto il mio era un investimento di lungo periodo).
Lo Stop Loss fisso
La definizione di uno stop loss fisso è semplice. Stabilita la percentuale massima di perdita la si applica al valore di acquisto di un titolo ottenendo la quotazione in corrispondenza della quale esso sarà venduto in caso di ribasso. Un livello di SL del 10% applicato ad uno strumento finanziario del valore di 9€ significa che dovremo liquidarlo non appena il suo prezzo si porterà sotto gli 8,10€.
Il livello di uscita potrà essere fissato in due modi distinti:
- arbitrario
- basato sulla volatilità.
Nel primo caso la percentuale di ribasso corrisponde alla perdita massima accettabile che abbiamo definito a priori in modo soggettivo. Nel secondo caso essa corrisponde alla volatilità media che lo strumento finanziario ha subito in un certo lasso di tempo.
Fissare uno stop loss basandosi sulla volatilità impedisce all’investitore di impostare una percentuale arbitraria incapace di distinguere tra un ribasso causato da una inversione di tendenza ed uno provocato da una fisiologica correzione temporanea delle quotazioni.
Lo Stop Loss dinamico (Trailing Stop)
Lo stop loss dinamico corrisponde alla definizione di un livello di uscita mobile e crescente che ti permetterà di proteggere i guadagni mano a mano che le quotazioni cresceranno. Esso è semplice da capire e da usare e si basa sui due seguenti passaggi:
- definizione della percentuale massima di perdita
- adeguamento della base di calcolo della stessa.
Ecco come funziona, all’atto pratico, il trailing stop.
Il primo valore di uscita è calcolato in modo identico ad uno stop loss fisso, sottraendo la percentuale fissata dal costo storico. Periodicamente poi si osserva il prezzo dello strumento finanziario in questione e si procede in questo modo:
- se il titolo è sceso non si apporta alcun cambiamento. Si procederà a vendere lo strumento qualora la sua quotazione scenda “sotto” il livello di stop loss fissato
- se il titolo è salito si calcolerà il nuovo livello di uscita sottraendo la percentuale al nuovo massimo raggiunto.
Immagina, ad esempio, che il titolo acquistato a 9€ con uno stop loss del 10% sia sceso, la settimana successiva, a 8,50€. Poiché lo stop loss non è stato toccato non faremo nulla continuando a mantenere lo strumento finanziario in portafoglio.
La settimana successiva la quotazione cresce portando il titolo ad un massimo di 11€. A questo punto il nuovo livello di uscita (stop loss) sarà pari a 11€ – 10% di 11€ = 9,90 €.
Raggiunto quel livello di prezzo provvederemo a liquidare il titolo con un utile “garantito” del 10%. Se il titolo continuerà la sua corsa alzeremo il livello di uscita, evitando in questo modo di fare scattare un take profit che ci impedirebbe di beneficiare di ulteriori rialzi ma proteggendo parte dei guadagni ottenuti.
Se userai il sistema di investimento di cui ti parlo in un’altra occasione non avrai bisogno di fissare uno stop loss perché sarà il sistema stesso a contenere le perdite entro un limite complessivo da te fissato a priori.