Tra i rischi degli investimenti c’è il rischio di cambio. Cos’è questo rischio basato sulle oscillazioni del tasso di cambio? Come si copre?
Rischio di cambio: definizione
Chi opera sui mercati finanziari investendo in azioni ed obbligazioni è soggetto a numerosi rischi. Essi si traducono in fluttuazioni del controvalore investito, che può salire o scendere a seconda dei casi. In aggiunta chi opera in una divisa diversa da quella di riferimento corre il rischio legato alle oscillazioni del tasso di cambio.
Esso si traduce in un guadagno aggiuntivo, o in una perdita addizionale, rispetto al caso in cui gli strumenti finanziari di riferimento siano denominati nella valuta domestica.
Per noi italiani, ad esempio, la detenzione di una divisa diversa dall’euro, così come l’investimento in azioni od obbligazioni espresse in una valuta terza, implica l’assoggettamento al rischio valutario.
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Cos’è un tasso di cambio?
Si tratta semplicemente del prezzo di una valuta espresso in termini di un’altra. Si possono verificare due casi distinti:
- il prezzo è espresso in termini di valuta estera per unità di valuta nazionale
- la quotazione è espressa in quantità di valuta nazionale per unità di valuta estera.
La prima modalità di quotazione è detta “certo per incerto” ed è quella usata dall’Unione Europea per quotare le altre divise. La seconda, invece, è detta “incerto per certo“.
Il prezzo di una coppia di valute dipende in primo luogo dalla domanda e dall’offerta relativa. Ad esempio una persona potrebbe volere delle banconote estere per le spese da effettuare in occasione di un viaggio. O, al contrario, aver bisogno di valuta per pagare un acquisto di azioni effettuato su una borsa estera.
Il rapporto, inoltre, dipende dall’andamento comparato dei tassi di interesse vigente nei due Paesi, oltre che ai rispettivi tassi di inflazione. A causa dell’importanza economica e politica della questione i tassi di cambio sono attentamente monitorati e a volte anche influenzati dalle Banche Centrali.
Fluttuazioni valutarie e investimenti
Quando compriamo un titolo denominato in una valuta estera ci assoggettiamo, in modo automatico, al rischio di cambio. Esso riguarda sia le azioni, sia le obbligazioni ma anche gli ETF che siano quotati in una divisa diversa dall’euro.
Rischio valutario e obbligazioni
Le obbligazioni denominate in valuta comportano sempre una rischiosità più alta rispetto ai bond denominati in euro. Ciò accade anche per titoli che abbiano lo stesso rating, ossia che siano soggetti al medesimo rischio emittente. Sia gli interessi sia il capitale rimborsato alla scadenza, o il ricavato della vendita in caso di dismissione anticipata, sono infatti esposti al rischio che tale valuta si deprezzi contro l’euro.
Definiamo “carry trade” il differenziale tra il rendimento espresso in valuta estera e il tasso di interesse equivalente in euro. Tale differenziale rappresenta un guadagno aggiuntivo che l’obbligazionista percepirà se il tasso di cambio non subirà variazioni.
Nel caso in cui la valuta dell’obbligazione dovesse deprezzarsi più del “carry trade”, l’investitore andrebbe incontro ad una perdita. Ciò accadrebbe anche nel caso in cui il titolo alla scadenza pagasse regolarmente il capitale e gli interessi.
Si tratta di un aspetto molto importante da tenere presente. Alcune valute “deboli”, infatti, tendono a deprezzarsi regolarmente. Ciò è deleterio per l’investitore, poiché il carry trade verrà in breve annullato dall’andamento sfavorevole della valuta.
Raccomandiamo la massima prudenza all’investitore, quando si tratta di scegliere se investire o meno in obbligazioni espresse in valute diverse dall’euro.
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Azioni estere
Anche l’acquisto di azioni estere comporta l’assoggettamento al rischio di cambio. In questo caso l’andamento della divisa potrà aumentare i guadagni se alla rivalutazione del sottostante si aggiunge anche quella valutaria. Se, invece, il cambio perde valore nei confronti dell’euro (ovvero se la quotazione certo per incerto cresce), l’investitore vedrà ridurre i propri guadagni.
Rispetto al caso precedente, però, il rischio è mitigato dalla grande volatilità delle azioni. Se il titolo sale, infatti, l’investitore potrà ottenere comunque un guadagno anche in caso di svalutazione della moneta, se la prima compensa la seconda.
ETF
Un approfondimento a parte meritano gli ETF. Questi, infatti, sono espressi in una valuta che non sempre corrisponde al tipo di rischio che l’investitore corre. Il problema si pone soprattutto per gli ETF globali, settoriali o tematici che sono denominati in una valuta diversa da quelle dei titoli che hanno in portafoglio.
Immaginiamo, ad esempio, di avere un ETF azionario globale che, per semplicità, investa il 33% negli Usa, il 33% nell’Eurozona e il 33% in Giappone. Il prodotto è denominato in dollari USA. In questo caso il vero rischio che si corre non è quello relativo alla coppia euro/dollaro. La valuta di denominazione, infatti, è solo una divisa di “passaggio” che congiunge il portafoglio dell’ETF con l’euro.
Poiché 1/3 del portafoglio è investito in dollari, mentre 1/3 è impiegato in Giappone, il vero rischio sarà nei confronti di entrambe le valute e non solo del dollaro americano.
Per valutare l’effettivo grado di esposizione valutaria l’investitore in ETF dovrà esaminare con attenzione le aree geografiche in cui il prodotto investe. La valuta di denominazione, al contrario, non ha nessuna rilevanza. Sarebbe pertanto errato dire che un ETF che investa sull’S&P 500, denominato in euro, non espone al rischio di svalutazione del dollaro.
Dato che le azioni sono espresse in dollari USA la dinamica del rapporto tra questo e l’euro sarà determinante ai fini del risultato finale.
Concludo dicendo che le fluttuazioni valutarie possono rappresentare un’opportunità per guadagnare. Ciò avviene se il cambio con l’euro scende, ossia se la divisa estera si apprezza nei confronti di quella nazionale.
Come coprire il rischio di cambio?
La scelta di avere in portafoglio prodotti finanziari denominati in una divisa diversa dall’euro va fatta nell’ambito di una corretta diversificazione di portafoglio. A seconda della politica di gestione adottata e della strategia seguita la componente valutaria potrà essere più o meno ampia.
Il modo migliore per tenerla sotto controllo è dedicarvi al massimo il 50% dell’intero portafoglio. La restante metà, come minimo, dovrà essere impiegata in strumenti finanziari denominati in euro.
Esistono diversi strumenti per la copertura valutaria. Tuttavia l’investitore farà bene ad usare solo appositi ETF che già la incorporano al proprio interno.
Capire quali siano gli ETF che sterilizzano le oscillazioni della valuta è davvero semplice: basta orientarsi sui prodotti hedged (o hedgiati). Essi sono riconoscibili attraverso la dicitura “hdg” nel nome dello strumento.
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Giacomo Saver – CEO di Segreti Bancari