Il cambio del Governo rende di attualità la questione della sostenibilità del debito pubblico. Da esso, infatti, dipende la sorte dei BTP in cui molti investitori hanno impiegato i propri risparmi. Ecco perché, entro certe condizioni, possiamo stare tranquilli.
Condizioni di sostenibilità del debito pubblico
Il debito pubblico italiano, secondo Mazziero Research, ha raggiunto la quota record di 2774 miliardi a luglio 2022. A questi livelli domandarsi se esso sia sostenibile è lecito. Ma quali sono le condizioni affinché l’enorme fardello che grava sui conti dello Stato venga ripagato?
Uno Stato è “solvibile” se riesce a fronteggiare, secondo il Fondo Monetario Internazionale, i propri debiti attuali e futuri senza aiuti esterni come, ad esempio, lo scudo anti spread o il MES. Fino ad oggi lo Stato italiano ha sempre onorato gli impegni presi senza incorrere in nessuna forma di insolvenza. Il tema, che riguarda la sicurezza di chi ha investito in BTP, si trasla pertanto alle scadenze future.
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L’effetto valanga (snowball effect) si innesca quando la differenza tra il tasso di crescita del PIL e il costo implicito reale del debito è negativa. In parole semplici, il costo per interessi (ovvero il rendimento medio dei BTP e degli altri titoli) deve essere inferiore alla crescita complessiva, inflazione inclusa, del Prodotto Interno Lordo.
La stagnazione secolare, teorizzata da Alvin Hansen nel 1938, prevede una crescita stagnante delle economie provocata da un vuoto di domanda. L’assenza di crescita permette alle banche centrali di schiacciare verso il basso i tassi di interesse. A fronte di ciò la posizione debitoria dello Stato cresce poco, lasciando allo stesso ampi spazi per il finanziamento della crescita in deficit.
L’impatto dell’inflazione
La crescita forte dei prezzi, in un certo senso, aiuta la sostenibilità del debito. Essa, infatti, gonfia il tasso di crescita del PIL. O, in altri termini, riduce il valore reale che il debito rappresenta. Un po’ come se ad un amico che ci presta l’automobile noi la restituissimo priva delle ruote e del volante. Tuttavia l’inflazione che stiamo sperimentando, come ha affermato Fabio Panetta, del direttivo BCE, è “brutta“. Essa, infatti, è importata a causa della crisi dell’offerta legata alla crisi energetica.
In tal senso la riduzione del potere di acquisto delle famiglie ha un impatto negativo sui consumi delle stesse. Ciò, in breve, potrebbe tradursi in un calo del PIL con conseguenti effetti sulla sostenibilità del debito nel lungo termine.
Gli indicatori di sostenibilità
Vediamo, in sintesi, quali siano i principali indicatori che ci dicono se uno Stato è in grado di ripagare il proprio debito o se, al contrario, questo è diventato eccessivo.
Debito/PIL
Si tratta di un dato che mette in relazione una grandezza stock (il debito) con una grandezza flusso (il reddito). La prima, infatti, è calcolata in un certo momento. La seconda, invece, con riferimento ad un lasso temporale preciso. Si tratta di una misura fuorviante poiché non tiene conto di alcune variabili importanti:
- la ricchezza complessiva di una nazione
- il surplus commerciale.
Deficit/PIL
Esprime la misura della crescita del debito a causa dell’accumularsi di un disavanzo tra entrate ed uscite. Quando le seconde superano le prime, in definitiva, la differenza viene finanziata prendendo a prestito delle risorse. A ciò si aggiunge anche un eventuale deficit commerciale della bilancia dei pagamenti. L’Italia, da questo punto di vista, è ben posizionata con un avanzo commerciale significativo ed in crescita.
Spesa per interessi/PIL
L’indicatore misura la sostenibilità della spesa per interessi che gravano sulla massa debitoria. Le condizioni mutevoli di mercato spingono alla prudenza. Infatti se attualmente gli interessi sui BTP in circolazione sono bassi, allo scadere dei titoli pregressi quelli nuovi dovranno adeguarsi al nuovo scenario. Attualmente il rapporto viaggia intorno al 3,6%, un dato piuttosto basso ma da monitorare con attenzione.
Il tema della crescita
La distinzione tra debito “buono” e debito “cattivo” proposta, tra gli altri, dal prof. Draghi fa leva essenzialmente sul dogma della crescita. Secondo questa teoria, infatti, la crescita economica sarebbe sufficiente a “imbrigliare” il debito pubblico nel corso del tempo. Senza dubbio tutto ciò è vero. Occorre, però, considerare che il percorso di rallentamento debitorio sarà piuttosto lento e ad ostacoli.
Secondo stime fatte da Osservatorio CPI, solo in presenza di un aumento del PIL del 2,50% l’anno, in corrispondenza di un deficit/Pil del 2,4%, il rapporto debito/Pil potrebbe passare dal livello attuale di 160 a 91 nel 2035. Se, tuttavia, il deficit crescesse, il percorso di aggiustamento verrebbe rallentato o addirittura compromesso.
Manovre a sostegno
Per migliorare la sostenibilità del debito nel tempo i Governi hanno preso importanti misure. La più importante consistenti, per lo più, nell’allungamento delle scadenze dei titoli in circolazione. In aggiunta si è ridotto, sul totale, il peso dei titoli a tasso variabile (CCT), che in caso di pronunciato rialzo dei tassi diverrebbero sconvenienti per lo Stato.
I nostri BTP sono sicuri?
Sì, perché al momento attuale il debito pubblico è sostenibile. Esso, infatti, può contare sulla protezione in sede europea con lo scudo anti spread e il MES. Inoltre il pacchetto di riforme connesse con il PNRR, se portato avanti correttamente, impatterà sulla crescita economica del Paese nel corso degli anni.
Occorre, però, che il Governo lavori anche sul taglio della spesa pubblica e sul suo miglior efficientamento. La sicurezza dei titoli pubblici, legata alla solvibilità della Repubblica, però, mette l’investitore al riparo dal solo rischio di default. Restano, invece, intatti gli altri tipi di rischio, in modo particolare quelli legati alle fluttuazioni “selvagge” che i titoli pubblici potranno subire per effetto della risalita dei tassi e l’arrivo della speculazione.
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