La crisi del 2020, dalla quale non siamo ancora usciti, rappresenta la peggiore sfida dal Dopo Guerra e dai tempi del fallimento della Lehman Brothers. Secondo alcuni, addirittura aleggia lo spettro del 29. Sarà effettivamente così?
La recessione post pandemica
A metà del 2020, nel bel mezzo della pandemia e del panico generale – soprattutto quello dei mercati – molti commentatori e analisti titolavano: “questa sarà la peggior crisi del dopoguerra”. Ma è stato davvero così?
Dal punto di vista fattuale il 2020 è stato caratterizzato da una crescente incertezza verso il futuro e dall’inevitabile riflesso economico. Anche e soprattutto perché – ce lo ricordiamo tutti – il modo si è fermato.
Il paragone, giusto o sbagliato che sia, con la grande depressione del ‘29, offre spunti interessanti per un’ analisi più approfondita, dal momento che all’alba di un 2022 appena iniziato forse qualche conclusione meno catastrofica siamo in grado di tirarla.
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Cosa successe nel 1929: la grande depressione
Il 1929 viene ricordato da tutti come l’inizio della peggior crisi economica dei tempi moderni. Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, finalmente, i rapporti tra le potenze globali che si erano scontrate si stavano distendendo.
Ma, quello a cui si stava andando incontro, non era altro che il reso di un accelerazione economica e di una continua crescita che aveva avuto i suoi albori con la rivoluzione industriale di fine ‘800.
Il drastico e inaspettato calo dei mercati, consacrò il ’29 a tutti gli effetti con la prima crisi del capitalismo.
Il punto di vista dei mercati finanziari
Il gap creatosi tra l’incontrollata (e incontrollabile) produzione di beni di consumo – nel 1929 – e la loro effettiva domanda, determinò un graduale crollo dei prezzi.
Questo dal punto di vista economico. Dal punto di vista finanziario invece, ci fu un’illimitata speculazione sulle aziende quotate in borsa.
Ovvero: una volta presi i soldi in prestito dalle banche, gli imprenditori, dopo averli investiti, ripagavano il prestito tenendosi il guadagno.
A riguardo, si calcola che l’esposizione nei confronti delle banche da parte degli investitori, all’epoca, era di 8,5 miliardi di dollari. Se consideriamo che il singolo dollaro deteneva un valore pari ad 80 dollari odierni, si capisce bene l’impatto che ebbe questo momento d’inflazione.
Il 2020 e il 1929: il ruolo delle banche
Proviamo dunque a confrontare – per quanto possibile visti i punti di partenza – l’attuale crisi (ovviamente, in parte, ancora in corso) con quanto avvenuto tra la fine degli anni venti e la prima metà del Novecento.
Possiamo iniziare evidenziando la prima grande differenza: l’origine della recessione.
Nel 1929 il casus belli è certamente la borsa di New York, che a causa della speculazione e dell’euforia aveva raggiunto livelli ingiustificabili. Il tonfo successivo aveva infatti provocato un crollo della domanda aggregata. Da ciò derivò la crisi in molti settori produttivi e la conseguente perdita incontrollata dei posti di lavoro.
Oggi, al contrario, i crolli della domanda e dell’offerta aggregata sono stati in qualche modo creati “volontariamente” dalle autorità governative di molti paesi, le quali hanno deciso di “chiudere” le loro economie per un certo periodo di tempo al fine contrastare un nemico invisibile, ma comunque in grado di provocare – se lasciato libero di diffondersi – effetti ben superiori ad un periodo di recessione.
Prima dello scoppio della Grande Depressione , inoltre, le società di brokeraggio avevano iniziato investimenti nel mercato, anticipando semplicemente il 15% o al massimo il 20% del totale. Persino le banche nel ‘29 presero parte all’abbuffata, utilizzando i fondi depositati dai clienti per comprare le azioni a margine. Quindi all’inizio del 900 tutta questa frenesia portò ad una sopravvalutazione delle azioni, con un esercito d’investitori in crescendo, tutti intenzionati a lanciarsi sul mercato.
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Il crollo della Grande Depressione spazzò via la maggior parte del capitale degli investitori, obbligandoli a liquidare le posizioni per poter soddisfare le loro obbligazioni.
Inoltre, molte banche andarono in bancarotta nel giro di una notte, avendo utilizzato i fondi depositati dai loro clienti per investire nel mercato borsistico.
In breve: la crescita dei mercati fu estremamente artificiale, conseguente all’eccessivo indebitamento. Basti pensare che tra il 1921 e il 1929 il mercato aveva subito una crescita del 329%, passando da una quotazione di 100 fino a toccare i 380 punti, prima di lasciare spazio al crollo.
A fine 2020, memori di quegli errori, le banche centrali hanno inondato di liquidità i mercati e l’economia, i governi hanno addittura abbracciato il deficit per garantire il supporto alle imprese e – per quanto si possa parlare di «ripensare alcuni aspetti della globalizzazione» – nessuno desidera veramente un ritorno di autarchia e mercantilismo.
Tutte queste misure, unite ai fondi di tutela dei depositi e ai parametri di solidità patrimoniali imposti alle banche dopo la crisi del 2008, hanno garantito la tenuta del sistema e sono effettivamente stati un fattore decisivo per accelerare la ripresa delle economie aspettando il contenimento, ad oggi reale, dei rischi sanitari.
A tal riguardo, basti pensare alla manovra Draghi.
Effettivamente, pur con differenti origini, la crisi attuale era facilmente paragonabile a quella del 1929, anche solo per la sua violenza e per i suoi effetti iniziali.
Le conseguenze della crisi del ‘29
Tra il 1929 ed il 1933, il Dow Jones (Dow Jones Industrial Average), ossia il più noto indice azionario della borsa di New York, perse più dell’80% del suo valore, arrivando ad una quotazione di 41 punti. Il Pil in quel periodo scese del 27%, dimostrando che non si è trattava solamente di una crisi finanziaria. Infatti, per ritornare a vedere i massimi precedenti bisognerà aspettare addirittura 25 anni.
Grande depressione e analogie con la crisi attuale: la storia si ripete?
Uno dei motivi che innescarono il ribasso fu la mancanza di liquidità che però è stata in parte coperta dalle banche centrali.
Il mercato iniziò la sua discesa il 24 Febbraio, fino ad arrivare al minimo il 9 marzo, il giorno dell’annuncio della “pandemia globale”.
In quella data, l’OPEC, ossia Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, non riuscì a raggiungere l’accordo sul taglio della produzione del greggio. Ciò portò il prezzo a scendere del 30% in una sola notte.
Tutti coloro che avevano investito nel petrolio, visto il repentino calo, cercarono immediatamente liquidità. Come? Chiudendo operazioni sul mercato.
Nello specifico questo effetto è stato ben visibile sull’oro che, pur essendo un classico bene rifugio, dal 9 al 19 marzo 2020 ha perso circa il 15%.
Per quanto riguarda invece i mercati più in generale, ci siamo trovati ad affrontare una situazione differente. Abbiamo visto il mercato azionario USA perdere tra il 35 ed il 40% in un solo mese. La discesa più rapida che si sia mai vista.
Nelle tre settimane successive però fu recuperato già circa il 50% della perdita. E già solo da questo dato mostra come le due crisi siano profondamente diverse.
Considerazioni e sviluppi futuri
Quella che ci siamo trovati ad affrontare nei primi mesi del 2020 è stata sicuramente una crisi globale, come la Grande Depressione del 1929. Tuttavia, il mondo in cui viviamo ora è molto più veloce, con tempi di ripresa del tutto differenti.
Questo da un lato significa che il ritorno alla normalità dei mercati era legato, più che a un ritorno della fiducia, alle tempistiche necessarie per trovare una cura o un vaccino. Dall’altro, tuttavia, la crisi del 2020 rende possibile il confronto con la Grande Depressione del 29.
Le stime che vennero fatte sulla crescita del 2020 erano tristemente paragonabili con le cifre dei primi anni Trenta. Per l’economia USA si prevedeva una contrazione fino al 10,8%, un ordine di grandezza paragonabile con il -8,5% registrato a valle del Giovedì Nero di Wall Street.
Per far sì che la crisi pandemica non abbia avuto le proporzioni, e soprattutto la durata ,di quella del 1929 (quando l’economia registrò quattro anni consecutivi di crescita negativa e l’indice S&P 500 perse l’85% del suo valore) sono state fondamentali la prudenza di ogni singolo cittadino, l’impegno dei ricercatori medici e una risposta adeguata da parte delle autorità politiche e monetarie.
A rendere la «crisi del 1929» tanto grave furono infatti, più che la gravità delle sue cause, gli errori commessi da governi e banche centrali per contrastarla.
All’epoca infatti la Fed, nell’errata convinzione che rendimenti più elevati avrebbero limitato una fuga degli investitori, alzò i tassi di interesse (frenando così gli investimenti). I governi, convinti di dover «tirare la cinghia» in un momento di crisi e incapaci di avere una visione globale, adottarono in maniera dogmatica misure fiscali restrittive volte al pareggio di bilancio e applicarono dazi e barriere. Il commercio internazionale si contrasse del 50% in pochi anni.
Nessuno, infine, si preoccupò di rassicurare concretamente i cittadini sulla tenuta del sistema finanziario. Di conseguenza, la corsa agli sportelli favorì fallimenti bancari e aggravò ulteriormente la crisi.
Oggi invece, memori di quegli errori, le banche centrali hanno – come accennato poc’anzi – inondando di liquidità i mercati e l’economia.
Nel 2022 è decisamente meno probabile una grande depressione di proporzioni e durata paragonabili a quella degli anni Trenta (nel 2021 il PIL mondiale è infatti già in crescita), perché c’è consapevolezza che la conoscenza dei meccanismi socio-economici è più sviluppata rispetto al secolo scorso.
Questo fattore sarà fondamentale per risolvere le questioni economiche tanto quanto le conoscenze mediche si riveleranno fondamentali per risolvere le questioni sanitarie.
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