I certificati a capitale protetto sono strumenti finanziari molto di moda durante le fasi di incertezza, grazie alla garanzia della restituzione del capitale in caso di andamento sfavorevole del sottostante. Questo articolo ti spiega in dettaglio tutto ciò che c’è da sapere sul loro funzionamento e sull’effettiva convenienza ad investire.
Cosa sono i certificates
Gli investment certificates sono strumenti finanziari derivati cartolarizzati la cui quotazione dipende dall’andamento di un determinato “sottostante”. Questo può essere un titolo, un indice finanziario o un paniere di titoli. Sono emessi da banche ed istituti finanziari sottoposti a vigilanza da parte di Consob e Banca d’Italia e sono quotati in borsa su un apposito mercato.
Sebbene siano strumenti adatti a chi fa trading amatoriale, i certificati di investimento sono diventati popolari anche tra gli investitori.
In breve abbiamo tre tipi di certificates:
- quelli a capitale protetto/garantito, il cui rimborso al valore nominale è assicurato dall’emittente;
- i prodotti a capitale parzialmente protetto, che tutelano solo una quota parte del valore del titolo;
- i certificates a capitale condizionatamente protetto, il cui rimborso è subordinato al fatto che il sottostante non perda oltre una certa percentuale.
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Certificate a capitale protetto: come funzionano
I certificati a capitale protetto offrono all’investitore una performance e/o un flusso cedolare legato all’andamento del sottostante, più la garanzia del rimborso del capitale qualora sottoscritti in fase di collocamento. Essi permettono all’investitore di beneficare del rialzo dei mercati, limitando al tempo stesso i rischi.
Tuttavia la protezione ha un costo. Infatti la garanzia del capitale implica una riduzione (o un tetto) alle performance rispetto all’andamento del sottostante. In particolare esistono due tipologie di strumento, che andremo ora ad approfondire.
Certificates a capitale interamente protetto o garantito
In questo caso l’investitore non corre alcun rischio di mercato. Alla scadenza, infatti, il certificate rimborserà sempre un valore pari al nominale, coincidente con il prezzo di emissione. Se anche il sottostante dovesse perdere, ad esempio, il 40%, il risparmiatore riceverebbe comunque un valore di 100 €.
Ciò a condizione che il titolo sia stato comprato ad un valore pari o inferiore a quello del collocamento. Se, invece, lo stesso è acquistato ad un prezzo superiore ci si esporrà al rischio di perdita dell’eccedenza. Ad esempio un titolo comprato a 140 comporterà una perdita di 40, poiché il valore garantito è 100.
Occorre infine ricordare che questi strumenti sono poco redditizi, poiché una parte del guadagno serve a “pagare” la garanzia del capitale.
Certificati a capitale condizionatamente e parzialmente protetto
Sono certificates che rimborsano l’intero capitale, oltre alla remunerazione prevista, a condizione che il sottostante non perda oltre una determinata percentuale. Essi consentono, a fronte di una remunerazione maggiore rispetto al caso precedente, di correre un rischio limitato.
Se, ad esempio, la protezione è condizionata al fatto che il sottostante non scenda più del 40%, fino a tale soglia il certificato rimborserà interamente il valore nominale.
Cosa succede se un certificato tocca la barriera
La barriera è una percentuale del valore iniziale che, se toccata, fa decadere la garanzia del capitale. Una barriera del 60%, ad esempio, implica che un ribasso pari o superiore al 40% comporta la perdita della garanzia del capitale. Se la barriera è discreta il controllo si fa alla scadenza. Qualora il sottostante chiuda ad un valore superiore alla stessa il capitale è garantito.
Nel caso di barriera continua, invece, se durante la vita del titolo la barriera è “toccata” perché il sottostante registra un prezzo inferiore si perde la garanzia del capitale. Ad essere liquidato, in questo caso, è il valore del sottostante. La chiusura del sottostante ad un livello inferire alla barriera, di fatto, trasforma il certificato in un investimento azionario con concreti rischi di perdita.
A chi si rivolgono
I certificates a capitale protetto sono pensati per investitori che hanno aspettative rialziste sul sottostante, ma che al tempo stesso vogliono tutelarsi da possibili cadute di prezzo. Parliamo, in definitiva, di individui con una bassa tolleranza al rischio che vogliono prendere parte al rialzo dei mercati azionari senza correrne in pieno i rischi.
Quanto costa investire
I certificati comprati in emissione sono collocati al valore nominale. In pratica il costo di un “pezzo” è di 100 € a fronte di un valore di rimborso anch’esso di 100. Tuttavia se andiamo a scomporre il titolo nei suoi componenti vediamo che il suo costo “equo” è inferire a 100. Di solito il prezzo corretto è di 97 o 98 a fronte dei 100 pagati.
La differenza rappresenta una commissione occulta che l’investitore paga e che si tradurrà, probabilmente, in un analogo deprezzamento al momento della quotazione sul mercato. L’acquisto di un certificato sul mercato secondario, invece, comporta il pagamento della commissione di negoziazione pari allo 0,70% massimo.
Quali sono i rischi
Oltre al rischio di perdita provocato dall’andamento sfavorevole del sottostante, i certificates comportano due “pericoli” addizionali. il primo di essi è il possibile default dell’emittente. Dal punto di vista giuridico, infatti, i certificati a capitale protetto sono equiparati alle obbligazioni senior, non garantite.
Ciò comporta il fatto che il credito nei confronti della banca emittente non è tutelato dall’intervento del FITD. In caso di liquidazione coatta dell’intermediario, pertanto, il cliente perderà per intero il proprio capitale. Il secondo rischio riguarda la liquidità. Poiché questi strumenti sono rivolti ad un pubblico di investitori al dettaglio una volta collocati nei portafogli vi restano fino alla scadenza.
Ciò implica che a volte è difficile smobilizzare un certificato prima della scadenza, o perché non si hanno controparti nel book di negoziazione, o perché il prezzo offerto è davvero molto penalizzante.
Le opinioni di Segreti Bancari
Secondo noi non conviene investire nei certificati a capitale protetto. Essi, infatti, sono per lo più proposti nelle fasi di incertezza dei mercati quando, pur di proteggere il capitale, gli investitori chiudono un occhio sugli altri aspetti. Ad esempio sulla scarsa redditività dei prodotti, o sulla bassa liquidità.
Nel caso in cui la protezione sia parziale, inoltre, l’investitore rischia perdite ingenti proprio se si verifica un ribasso importante dal quale vorrebbe proteggersi. Se le cose vanno bene, invece, i guadagni ottenuti sono poca cosa rispetto a quelli ottenibili dall’investimento diretto.
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Giacomo Saver – CEO di Segreti Bancari.